Il rosso infuocato della lava dell’Etna, il bianco candido della neve che copre il vulcano in inverno, il nero impenetrabile della pietra lavica, il giallo abbagliante delle campagne in estate e il verde rigoglioso dei boschi e di campi in primavera, sono tutti colori che vivono a Catania. C’è un altro colore che è proprio impossibile non associare a questa città: il blu intensissimo dello Jonio. Una città come questa, distesa tra un vulcano e un mare così unici da plasmare il carattere, non poteva dunque non essere anche una città dall’animo visceralmente portuale.
La storia del porto.
Nel 1438 Catania ebbe il suo primo porto per opera del re Alfonso D’Aragona, che fece realizzare proprio lì dove sorgeva l’antico Porto Saraceno un molo adeguatamente attrezzato e ben fortificato per le sue navi di grandi dimensioni. Il monarca aragonese costituì anche un’amministrazione catanese cui affidò il compito di migliorare e curare l’approdo marittimo.
Nonostante tutto ciò, puntualmente le violente mareggiate lo distrussero rendendolo inagibile ed insicuro.
Tutti gli anni del 1400 e del 1500 videro i catanesi impegnati in grandi sforzi e consistenti esborsi di denaro a ricostruire il porto
Dopo la memorabile mareggiata del 1601, che cancellò completamente ogni traccia di quel porto, seguì per tutto quel secolo un’altalena di costruzioni e distruzioni di un altro molo, del tutto simile a quello precedente ma ubicato esattamente in cui si trova oggi il porto di Catania.
Nel 1700 il governo borbonico, ben intenzionato a risolvere il grave problema del porto di Catania, affidò ad una equipe di esperti maltesi il compito di studiare e realizzare adeguate fortificazioni per il porto etneo, in particolare fu proposto di realizzare delle casse di calcestruzzo da gettare a mare in modo da realizzare una solida barriera ai marosi.
I lavori iniziarono con grande impegno e si protrassero per cinque anni, consegnando, a coronamento di tutti i fallimenti del passato, alla città di Catania un porto solido e ben riparato.
Nel 1800 il regno borbonico fece eseguire altri lavori e quel braccio di terra venne trasformato in un vero approdo formato da due moli, uno lungo 258 metri, l’altro 122, con uno specchio d’acqua di circa 14 ettari, situato esattamente dove oggi sorge il porto vecchio e siccome la diga frangiflutti teneva bene si procedette ad adeguarlo alle crescenti esigenze del XIX secolo.
Dopo la violenta mareggiata del 1933 che, danneggiò notevolmente le strutture portuali realizzate fino a quel momento, il governo Mussolini mise a punto un capillare programma di ricostruzione e rimodernamento del porto.
Nel giro di pochi anni il porto vecchio venne completamente ripristinato, mentre la diga foranea fu allungata di altri 570 metri; fu anche potenziato e migliorato il sistema di fortificazione, con l’immissione di altre casse di calcestruzzo; venne aggiunto un altro braccio , lungo 200 metri, munito di uncino e fu ricavato un ampio piazzale destinato alle petroliere ed al buncheraggio delle navi in transito.
I lavori furono completati due anni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale e disegnarono il porto esattamente come lo conosciamo oggi, allineandolo agli scali più moderni e ben attrezzati di quell’epoca, non ultimo il porto di Palermo imponente scalo marittimo della Sicilia occidentale.
La politica di rilancio dello scalo etneo, anche mediante il suo inserimento nella mappatura strategica e militare, venne interrotta dallo scoppio della guerra, al termine della quale il porto ed il suo immediato retroterra fu destinatario di violenti bombardamenti che ne pregiudicarono l’imboccatura e ne cambiarono la filosofia nelle zone di interazione con la città.
Piazza Alcalà e Villa Pacini, infatti, sorgono laddove il cuore lambiva Palazzo Biscari, dopo il riempimento del Duomo con i detriti e le macerie dei bombardamenti.